Diritti Fondamentali: brevi pensieri in tempi di reclusione da quarantena
Oggi più che mai percepiamo l’esigenza di definire la nozione di diritti fondamentali: non si tratta di un bisogno di carattere prettamente speculativo o accademico, ma dalla volontà di enunciare e divulgare il più possibile il fondamento dello Stato democratico, come sviluppatosi in particolare dopo la seconda guerra mondiale.
I diritti fondamentali della persona non costituiscono pura teoria ed anzi fanno parte integrante della nostra vita, perché ci ricordano quali sono le nostre tutele e al contempo il nostro vivere all’interno di una comunità di individui ritenuti tutti uguali di fronte alla legge.
Con questo breve articolo s’intende ripercorrere in breve le tappe fondamentali del loro riconoscimento giuridico in Europa, cui ha fatto seguito lo strumento della tutela per via giurisdizionale e procedurale.
Definizione teorico positivistica dei diritti fondamentali
Secondo la teoria formale sono “diritti fondamentali” tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a “tutti” gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone capaci d’agire; inteso per “diritto soggettivo” qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni) ascritta ad un soggetto da una norma giuridica, e per ‘status’ la condizione di un soggetto prevista anch’essa da una norma giuridica positiva, quale presupposto della sua idoneità ad essere titolare di situazioni giuridiche e/o autore degli atti che ne sono esercizio”. (nota 1)
Tale enunciato, in prima battuta teorico, è necessario al fine di rendere una loro qualificazione resa in via sostanziale attraverso le previsioni delle Costituzioni statali, dei Trattati Internazionali e dalle pronunce delle Corti Costituzionali.
La norma giuridica ha carattere di generalità ed astrattezza, oltre che di obbligatorietà e questo perché deve rivolgersi a tutti gli individui, prevedendo dei casi in astratto. Quando poi questi i casi si verificheranno in concreto, sarà compito del giudice applicare la legge applicabile.
Ecco dunque come sia assolutamente necessario per la costruzione di un vivere civile l’adozione di leggi non solo imperative, ma soprattutto generali ed astratte, al fine di assicurare l’uguaglianza.
In ambito europeo la Corte di Giustizia ha affermato che i diritti fondamentali “fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, di cui la Corte garantisce l’osservanza.” (nota 2)
La stessa Corte, in seguito al riconoscimento formale, ha chiarito che la consequenziale tutela di tali diritti nell’ambito del diritto comunitario è ispirata “alle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri” e deve essere garantita “entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità (nota 3).
Sulla linea dell’esegesi della Corte di Giustizia si vanno a delineare i riferimenti alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU cfr. nota 4), quale parametri destinati a consolidarsi e a diventare sempre più frequenti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di diritti fondamentali.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è nata dopo la seconda guerra mondiale, qualche anno dopo l’Onu e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, pertanto in un contesto singolare, rivolto al riconoscimento di tali diritti, prima gravemente violati.
Come ogni corso storico, si assiste alla rinascita di movimenti a tutela dei diritti umani quale conseguenza di eventi (specialmente bellici) profondamente traumatici, che spingono a voler ricostruire la civiltà su basi egalitarie ed anche, con le Costituzioni, solidaristiche.
Lo stesso intento aveva mosso i padri fondatori dell’Europa, contribuendo a creare un dibattito in relazione al concetto di sovranità dei singoli Stati all’interno di una comunità per creare una cooperazione fra di loro ancora più forte e quindi una forte solidarietà ed unità.
Sulla base di questi principi, la Corte sviluppò negli anni seguenti, senza che in origine vi fosse alcuna base testuale nei Trattati istitutivi delle Comunità europee, un catalogo di principi e diritti fondamentali di diritto comunitario che comprende, a titolo di esempio, il principio di proporzionalità, il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica, il principio di eguaglianza, la libertà di religione, la libertà sindacale, la protezione dell’affidamento legittimo, la certezza del diritto, ecc.
Con questa giurisprudenza la Corte di Giustizia reagì ad alcune sentenze delle Corti Costituzionali tedesche e italiane (nota 5), che avevano individuato nella protezione dei diritti fondamentali un limite alla applicazione del diritto comunitario negli ordinamenti statali.
Una problematica che difatti si è posta negli anni è stata quella del primato del diritto comunitario nei confronti degli ordinamenti degli Stati membri, come accennato sopra con riferimento alla sovranità. Tramite queste sentenze (Solange I e II etc…) la Corte costituzionale tedesca ha riconosciuto il concetto di primato, seppur nei limiti dei principi fondamentali enunciati dal diritto tedesco, alla sua identità nazionale e quindi alla sua sovranità.
La Corte di Giustizia, tramite la tutela dei diritti fondamentali, aveva creato un enorme dibattito sia a livello politico che soprattutto giurisprudenziale, in quanto si rischiava di sottrarre al giudice costituzionale nazionale il rispetto dei diritti fondamentali.
L’Evoluzione delle sentenze delle Corti Costituzionali nazionali e della Corte di Giustizia, nonché i dibattiti politici all’interno degli Stati membri hanno creato le basi per la Carta dei diritti di Nizza, che costituisce in gran parte una compilazione e un consolidamento della sua giurisprudenza in tema di diritti fondamentali.
Carta di Nizza del 2000
La Carta di Nizza costituisce un documento che in modo organico fissa diritti per i cittadini UE.
Essa non introduce nuove competenze o compiti dell’Unione, ma fissa dei punti fondamentali di autonoma affermazione di principi di natura costituzionale stabilendo disposizioni che si applicano sia alle Istituzioni UE che agli Stati membri.
Tali enunciati trovano fondamento nei principi già contenuti nelle Costituzioni nazionali degli Stati membri nonché nella CEDU (Convenzione europea per i diritti dell’uomo), nella Carta Sociale europea.
Il contenuto della Carta ha lo stesso valore del Trattato UE. La Corte di Giustizia fa riferimento alle disposizioni della Carta, così come la Cassazione italiana che recentemente ha precisato come il giudice dello Stato membro dovrà tener conto, nel giudicare il caso in oggetto, sia di specifiche norme della Costituzione italiana che della Carta dei diritti fondamentali.
Nel Preambolo alla Carta di Nizza del 07.12.2000 viene così specificato:
“La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
In tale contesto, la Carta di Nizza sarà interpretata dai giudici dell’Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le interpretazioni elaborate sulla base della Convenzione europea (Cedu).
Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia (nota 6) ha chiarito che le disposizioni della Carta sono soltanto parametri di legittimità degli atti dell’Unione, degli atti nazionali che ai primi danno attuazione, nonché di quegli atti nazionali che, a giustificazione dell’introduzione di una deroga agli obblighi imposti dai Trattati, invocano l’esigenza di tutelare un diritto fondamentale.
Trattato di Lisbona del 2007 – in vigore dal 2009
Il Trattato di Lisbona del 13.12.2007 ha rafforzato la tutela dei Diritti Fondamentali.
Sebbene detto Trattato non abbia incorporato il testo della Carta dei diritti del 2000, lo stesso la include sotto forma di allegato, conferendole così carattere giuridicamente vincolante all’interno dell’ordinamento dell’Unione.
Secondo quanto disposto dall’art. 6 del Trattato è previsto che:
“L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati”.
Pertanto tutte le Istituzioni dell’Unione, nelle loro azioni o iniziative legislative, devono ora tener conto dei diritti civili, politici, ed economici e sociali dei cittadini europei, come richiamati nella Carta dei Diritti Fondamentali, anche se occorre precisare che ciò non comporta un’estensione delle competenze dell’Unione stessa.
Volendo riflettere su tale riconoscimento, sembra evidente che la volontà in ambito europeo sia stata quella di integrare ancora di più fra di loro gli Stati membri, considerando che un riconoscimento formale e vincolante per questi ultimi possa, per un verso, garantire e rafforzare la democrazia e i valori a ciò relativi all’interno di ogni singolo ordinamento, e per altro verso, la garanzia multilivello che negli anni i diritti fondamentali hanno ricevuto.
Ciò significa che su di un piano il giudice costituzionale di un singolo Stato membro, in forza della Costituzione interne e del diritto comunitario (a seguito del Trattato di Lisbona) e i giudici della Cedu su altro piano, garantiscono l’applicazione delle norme relative a diritti inalienabili e immodificabili e quindi contribuiscono a rafforzare tali concetti.
Eppure ciò non basta: se davvero vogliamo assicurare la nostra vita all’interno di una comunità civile, il riconoscimento dei diritti fondamentali deve essere effettuato anche dai singoli individui che ne sono i titolari.
Questo può contribuire ad una continua evoluzione dell’uomo nel senso di una volontà di accrescere le proprie conoscenze, al fine di acquisire una più definita consapevolezza della sua libertà e dei suoi diritti e doveri.
A parere di chi scrive, occorre considerare la rinascita del diritto naturale, come egregiamente descritto (nota 7), specificando che con diritto naturale non ci si riferisce ai diritti umani, ai diritti soggettivi, bensì al diritto oggettivo : tale rinascita “corrisponde a un’esigenza sulla quale molti, credenti e non credenti, possono concordare con facilità: che non tutto ciò che è tecnologicamente possibile di fatto sia anche moralmente lecito”.
Ed ancora, con riferimento all’argomento che qui ci interessa, ossia l’opportunità di una ricerca, di uno studio da parte degli individui, che svegli la propria coscienza anche con riferimento ai diritti umani, il diritto naturale ha riflessi considerevoli.
In particolare, “La legge naturale che ne potrebbe derivare è che gli esseri umani non possono sfuggire al dover di agire nel mondo con responsabilità e secondo la libertà che è loro propria: una legge della quale le antiche e venerande dottrine del diritto naturale sembrano allontanarsi vistosamente, quando ripropongono visioni della natura che sollevano sì dalla responsabilità, ma accentuano il potere di chi si appella ad essa, a scapito della libertà.”(note 8)
Lo studio dei diritti s’intende coerente con il comune senso etico e morale, volendo rifuggire dal rischio di arbitrarietà che potrebbe palesarsi all’inizio di una simile attività.
Non è possibile ignorare infatti che il diritto naturale, se privato di qualsivoglia contenuto etico, possa comportare il rischio di non distinguere ciò che bene e ciò che è male.
Lo scopo ultimo, comune agli individui, deve essere quello del bene comune, inteso in senso assoluto, ossia l’Idea del bene discussa nella Repubblica di Platone, quale concetto supremo che non ammette finzioni e che perciò conduce verso la verità e da qui, alla conoscenza.
Avv. Agnese Micozzi Avv. Emanuele Citro
Riferimenti bibliografici – note:
1) Luigi Ferrajoli, Diritti Fondamentali un dibattito teorico, Edizione Laterza 2008.
2) Sentenza Stauder, C-29/69 del 1969.
3) Sentenza Internationale Handelsgesellschaft, C-11/70 del 1970, e sentenza Hauer, C-44/79 del 1979.
4) https://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
5) Bundesverfassungsgericht, sentenza del 29 maggio 1974, c.d. Solange I; Corte costituzionale italiana, sentenza n. 183/1973.
6) Tra le tante, si vedano le seguenti sentenze: 5 ottobre 2010, McB, C-400/10; 12 novembre 2010, Estov, C-339/10; 15 settembre 2011, Gueye e Salmerón Sánchez, C-483/09 e C 1/10; Grande Sezione, 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C-617/10.
7) Gustavo Zagrebelsky “Diritto allo specchio” pag. 13, 2018 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino.
8) Gustavo Zagrebelsky “Diritto allo specchio” pag. 14, 2018 Giulio Einaudi editore s.p.a. Torino