Compito della filosofia è quello di ravvisare le modalità con le quali un fenomeno oggettivo possa diventare soggettivo, o anche come un essere possa diventare un essere rappresentato. Questa strana metamorfosi, da ciò che è a ciò che si vede, può essere spiegata solo trovando il punto di unione tra le due cose, il che si identifica con la ragione.
La rappresentazione dell’essere malato, ad esempio, è colta dalla soggettività del medico nei confronti dei sintomi del paziente, con la premessa che i sistemi utilizzati dalla ragione umana, per raggiungere questo obiettivo, cambiano con il variare dei paradigmi di indagine. La medicina, infatti, si è distinta per molti secoli, fra tutte le branche della conoscenza, nel far derivare la rappresentazione dell’essere dalla interpretazione dogmatica dei fenomeni oggettivi, cimentandosi in una serie di argomentazioni arbitrarie, che poco hanno aiutato l’evoluzione del pensiero scientifico.
Tali argomentazioni poggiano sul dogma centrale dell’umoralismo, il quale ha dominato il sapere medico fino alla fine del XIX secolo e, conseguentemente, condizionato il suo agire nei confronti del malato. L’azione, e quanto di essa è valutato e giustificato, non è tanto l’emanazione di una saggezza neutrale, tantomeno di una conoscenza delimitata, bensì deve essere l’espressione di una coscienza interiore, che ha bisogno di libertà per comprendere la sua natura morale.