Vale ancora la pena definire l’omeopatia?
Cominciamo ad avere molti dubbi. In fondo, il quadro clinico di una patologia, naturale o iatrogena, simile a quello di un’altra patologia, è molto radicato nella Medicina moderna: si chiama mimetismo molecolare.
Il termine si identifica in pieno con Omeopatia e permette di ampliare, con un linguaggio più moderno, la nozione di similitudine in un contesto conformazionale. Ciò permette di addentrarci anche nel mondo delle metafore, ossia delle forme, indispensabili per ottenere una visione d’insieme, soprattutto di questi tempi, purtroppo caratterizzati dalle radicate certezze di una scienza medica, talvolta imprigionata proprio da se stessa. D’altra parte, l’omeopatia è stata identificata con l’uso di farmaci imponderabili, in quanto privi di una titolazione dei principi attivi. In realtà, l’intento iniziale di Hahnemann è stato quello di studiare le somiglianze reciproche tra due forme patologiche. Soltanto in seguito (ufficialmente a partire dal 1828, data della I edizione delle Malattie Croniche), comincia a
diluire e dinamizzare i farmaci, che comunque sono prescritti sulla base del simile.
Un farmaco omeopatico funziona anche a dosi ponderali.
di Galeno Editore
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